Prime evidenze degli effetti della crisi sanitaria sulla dinamica dei rapporti di lavoro

Le conseguenze determinate dalla diffusione del virus COVID-19 hanno causato uno shock economico senza precedenti i cui effetti sono destinati a protrarsi nel tempo. L’ANPAL attraverso una breve nota intende fornire alcune prime indicazioni circa le reazioni della domanda di lavoro, ricorrendo all’archivio delle Comunicazioni Obbligatorie. Nell’analisi sono stati considerati esclusivamente i rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato e a termine[1], evidenziando principalmente: l’andamento dei flussi dei rapporti di lavoro; i dati territoriali; i settori. I dati sono aggiornati al 24 aprile 2020.

 

L’ANDAMENTO DEI FLUSSI DEI RAPPORTI DI LAVORO

Già dall’avvio delle crisi sanitaria, localizzata in alcune zone della Lombardia e del Veneto, le attivazioni contrattuali hanno incominciato a peggiorare. Anche se inizialmente circoscritte, le misure adottate e l’ipotesi dell’allargamento territoriale del contagio, hanno influenzato anche il resto del territorio nazionale.

Successivamente, con il DPCM del 9 marzo, le nuove attivazioni cumulate giornaliere si spostano progressivamente e stabilmente su valori negativi. Al 23 aprile scorso, in termini assoluti, il 2020 registra un deficit di circa 735mila attivazioni rispetto al 2019. La dinamica delle cessazioni risente parzialmente del blocco dei licenziamenti introdotto dal Decreto-Legge 17 marzo 2020 che ne riduce progressivamente il volume. Tale misura ha indubbiamente “calmierato” l’andamento delle cessazioni, ma non ha potuto nulla rispetto ai rapporti di lavoro a termine che, giunti alla fine del periodo contrattuale, sono naturalmente cessati.

Il punto di svolta quindi, è rintracciabile nel lasso di tempo che intercorre tra i due principali provvedimenti del Governo. Per quanto in forte contrazione, i contratti a tempo indeterminato e di apprendistato mantengono comunque valori positivi; diversamente, i contratti a tempo determinato, vedono precipitare, dal 9 marzo in poi, le relative posizioni lavorative nette a quasi -200mila unità.

 

I DATI TERRITORIALI

La contrazione delle attivazioni ha interessato progressivamente l’intero territorio nazionale. Al 22 febbraio 2020 il volume di attivazioni nel Nord Italia era stato del 5,5% inferiore a quanto registrato nello stesso periodo dell’anno precedente, contrazione che per le regioni centrali si assestava all’1,9%. Al contrario, il Mezzogiorno, alla stessa data, segnava una crescita dei contratti attivati del 3,1%. Dopo il DPCM del 23 febbraio e, soprattutto, quello del 9 marzo, i valori decrescono per tutte le ripartizioni, con le regioni meridionali che, nell’ultima decade di marzo, invertono il segno della crescita e si avviano, come il resto del paese, verso variazioni tendenziali fortemente negative (sono soprattutto le regioni del Centro Nord a mostrare le contrazioni maggiori nei flussi di assunzione, con Toscana, Liguria, le Provincie Autonoma di Trento e Bolzano e il Veneto che segnano riduzioni superiori al 30% e prossimi o superiori al 60% se si guarda ai flussi dal 23 febbraio in poi).

I SETTORI

Per quanto riguarda i settori, sono le attività legate ai servizi e alla ristorazione a presentare, relativamente alle attivazioni contrattuali, la variazione più marcata nel periodo.  Il settore turistico alberghiero si contrae di oltre il 52%. Si tratta di un deficit prossimo alle 300 mila unità rispetto allo scorso anno.

Altrettanto significativa è la riduzione del settore che riguarda le attività artistiche e sportive, del 44,6%. Fanno eccezione, invece, il comparto agricolo e, per ovvie ragioni, il settore sanitario. L’unico comparto a segnare un lieve aumento nel volume dei contratti è quello delle attività legate al lavoro domestico (probabilmente per sopperire all’impossibilità di assistere persone non autosufficienti, a causa della limitazione agli spostamenti). Va sottolineato, infine, come l’andamento delle attivazioni non sembri affatto correlato con l’individuazione dei settori cosiddetti “essenziali”, ad evidenza del fatto che la crisi occupazionale ha coinvolto trasversalmente l’intero sistema produttivo italiano.

[1]  Sono esclusi il lavoro in somministrazione e altre tipologie contrattuali di minor rilevanza dal punto di vista quantitativo. Sono state escluse, inoltre, le movimentazioni di soggetti appartenenti alla Pubblica Amministrazione, settore quest’ultimo scarsamente coinvolto, almeno in termini occupazionali, dall’emergenza Covid-9 e per il quale il decreto “Cura Italia” ha previsto, oltre al ricorso generalizzato allo smart working, la sospensione dei concorsi pubblici.