n.2/2020 Approfondimenti: Capitale umano e sviluppo sostenibile

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Capitale umano e sviluppo sostenibile

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Con il passaggio da un regime fordista ad uno post-fordista è venuto meno l’elevato sforzo organizzativo generato dal primo. Il regime fordista era caratterizzato da un’elevata standardizzazione della produzione, mansioni semplici e ripetitive e dall’introduzione della catena di montaggio che rendono possibili produzioni su larga scala. Lo sviluppo era caratterizzato dalla capacità di accumulazione degli investimenti di natura proprietaria all’interno di un processo aziendale caratterizzato da routine. Con il passaggio ad un regime post fordista viene abbandonata la tradizionale produzione di massa e l’industria acquista maggiore flessibilità produttiva e organizzativa, il cui sviluppo è incentrato sulla creazione, accumulo e propagazione di conoscenze. Attraverso opportuni processi di apprendimento organizzativo e strategico, l’interazione delle capacità genera conoscenze (Knowledge Management). Il Knowledge Management (KM) – letteralmente Gestione della Conoscenza – è ancora scarsamente diffuso e spesso utilizzato con significati non condivisi. Per alcuni autori il KM è “Disciplina che studia la gestione delle conoscenze aziendali. Comporta l’uso delle conoscenze di tutti i lavoratori per aumentare le prestazioni dell’azienda nel suo complesso…”

In questo modello di sviluppo, la leva strategica è rappresentata dalla capacità di valorizzare le conoscenze atte a produrre competenze, esigenza organizzativa fondamentale delle aziende dei giorni nostri. Il futuro valore di un’azienda quindi dipende sempre più da come l’azienda stessa sia in grado di gestire e valorizzare questi capitali intangibili, che non compaiono nel bilancio tradizionale, di importanza critica per il successo futuro; ed il capitale umano (competenze, esperienze, capacità) è una delle voci più importanti che convergono nell’identificazione del capitale intangibile di un’azienda, ma che rappresentano vantaggio competitivo. Tale vantaggio competitivo deriva dal consenso espresso dagli interlocutori di contesto che, tuttavia, assumono nella dinamica descritta non il ruolo di meri destinatari degli output valoriali generati dall’impresa, bensì co-generatori di valore e di co-responsabili della soddisfazione delle proprie esigenze ed aspettative (Relationship Management). Il capitale umano è un capitale ‘’vivo’’ e altamente variabile nel suo valore caratterizzato dall’impegno e dalla motivazione individuale. Le capacità e le conoscenze di cui dispongono le risorse umane creano nuove conoscenze che alimentano l’emergere del core competence. La variabilità del capitale umano è da ricondursi al contesto in cui l’impresa opera caratterizzato dal <<definitivo passaggio da un’economia basata sulle risorse produttive e sui capitali ad un economia basata sulle conoscenze, sulle idee, sulle risorse immateriali, intangibili (Cravera, Maglioni, Ruggeri, 2001: 11).

In questa prospettiva il capitale umano può scomporsi in diverse forme:

  • capitale umano specifico, relativo alle conoscenze maturate e sviluppate grazie all’attività svolta in particolari contesti lavorativi che sovente è connesso anche con lo sviluppo di un capitale di esperienza, frutto dei processi di learning by doing (Arrow 1962) e by using (N. Rosemberg 1982)
  • il capitale umano generico, ossia il complesso di competenze e abilità di cui dispongono gli individui come dotazione standard, in seguito al processo di formazione generale
  • il capitale umano di relazione, si riferisce allo sviluppo di connessioni e collegamenti con altri attori e soggetti, nonché reti di collegamenti e connessioni, sia umane che virtuali, e sviluppa un apprendimento cumulativo attraverso il learning by interacting (A. Lipparini, G. Lorenzoni 1996)

Con il termine capitale relazionale si intende il complesso di rapporti e modalità di interazione che definiscono il network di conoscenze, di cui un individuo dispone e la sua capacità di connessione ampia, con altri reti di collegamento.

L’aspetto relazionale è un tratto distintivo del fare business, perché si ritiene che la qualità del rapporto tra gli imprenditori ed interlocutori (clienti, fornitori, produttori ecc), siano fattori intangibili che possono influenzarne considerevolmente il successo.

Nelle imprese gestite dalle donne, il capitale relazionale ha un ruolo strategico (Paoloni, Dumay 2015). Secondo Gilligan (1982), le imprese gestite dalle donne sono caratterizzate da un uso più frequente di relazioni durante tutte le fasi del ciclo di vita aziendale (visione cooperativa) per lo sviluppo delle loro attività personali ed imprenditoriali (Aldrich et al. 1989).

Sono proprio le relazioni, infatti, a determinare la generazione di valore e il vantaggio competitivo. Le imprese più innovative difendono il loro vantaggio competitivo attraverso l’investimento in capitale relazionale con tutti i partner, “grazie ai quali è possibile progettare e realizzare reti di valore uniche e inimitabili” ( E. Valdani 2000). Quindi un’impresa relazionale si basa sull’innovazione, che si contrappone alla ripetizione, ossia al perseguimento del vantaggio competitivo esclusivamente attraverso la leadership di costo. Oggi le imprese per essere competitive devono realizzare continue innovazioni non solo di tipo tecnologico ma soprattutto organizzativo e gestionali. Le risorse che entrano in azienda non provengono dal mercato  ma scaturiscono dalle relazione che l’impresa pone in essere con i proprio partner. Ecco perché, per rendere l’idea, i fornitori non vengono identificati banalmente come tali, bensì come interlocutori capaci di apportare valore all’impresa. In tale modello d’impresa si valorizza l’impegno, la passione delle risorse umane, elementi non rinvenibili né, tanto meno, acquistabili sul mercato. Solo attraverso l’engageement dei propri interlocutori l’impresa ottiene consenso, fiducia, motivazione, senso di appartenenza. Senza queste caratteristiche non possono esserci relazioni sinergiche, per cui non si genera conoscenza né si crea valore, minimando in tal modo, le basi per la sopravvivenza dell’impresa. La stabilizzazione delle relazioni, in virtù della fidelizzazione degli interlocutori, consente l’incorporazione delle risorse nella struttura dell’impresa che divengono, pertanto, disponibili per l’azione di indirizzo e guida del soggetto di governo.

SVILUPPO SOSTENIBILE

La responsabilità sociale dell’impresa (RSI) è fondamentale all’interno del processo di comunicazione aziendale. La ricerca di una crescente economia compatibile con le esigenze di tutela e salvaguardia delle risorse propone una visione del mondo nella quale il fine ultimo è rappresentato dal raggiungimento di una migliore qualità della vita, dalla diffusione di una prosperità crescente ed equa, dal conseguimento di un livello ambientale non dannoso per l’uomo e per le altre specie viventi e nel quale sia possibile una più equa accessibilità alle risorse. In altri termini uno “sviluppo sostenibile”, secondo cui l’attuale generazione deve soddisfare i propri bisogni senza compromettere le prospettive delle future generazioni (L.R. Brown 1981).  Nonostante sono state molteplici le posizioni contrastanti e critiche nei confronti dei contenuti e, addirittura, dell’esistenza stessa della CSR, quest’ultima ha continuato a diffondersi.  A.Carroll distinse quattro tipologie di responsabilità sociale per il conseguimento dello sviluppo sostenibile: la responsabilità economica (fare profitti); la responsabilità legale (rispettare la legge); responsabilità etica (essere etici); responsabilità filatropiche (essere un buon cittadino).

L’approccio alla sostenibilità implica la necessità di seguire delle regole di comportamento che rendano compatibili gli obiettivi di sviluppo con l’attenzione all’ambiente, alle generazioni future e al sistema sociale. Rilevante fu l’intervento di Porter e Van Der Linde in tema di inquinamento secondo cui le imprese devono interpretare ogni emissione di sostanze dannose, di energia o di materiali potenzialmente riciclabili come un segnale di inefficienza e di inefficacia nell’uso delle risorse (M.E.Porter – C. Van. Der Linde, 1996). Ciò in quanto ogni forma di inquinamento dell’impresa implica dei costi (si pensi, ad esempio, a quelli di depurazione o di smaltimento) e il miglioramento delle prestazioni ambientali rappresenta, dunque, un’opportunità per migliorare la produttività delle risorse a disposizione dell’organizzazione.

Dunque, lo sviluppo economico è considerato sostenibile, solo se durevole nel lungo termine e se in grado di generare benessere attraverso la creazione di un flusso di reddito sostenibile.  Ne consegue una nuova visione dell’impresa, fortemente intrisa di responsabilità sociale, in base alla quale le performance conseguite vanno valutate in funzione del contributo combinato alla crescita economica, alla tutela dell’ambiente, alla promozione del contesto sociale (Elkington J., 1997).

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