n.4 Quando il talento è universale, ma le opportunità no

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Approfondimenti – Quando il talento è universale, ma le opportunità no

Il 2008 è un anno che difficilmente potrà essere dimenticato.

La crisi che lo ha percorso ha segnato e contrassegnato la dimensione politica, economia, sociale ed ambientale, in maniera circolare, per cui, ogni mutamento in unadimensione ha interessato in modo significativo le altre tre.

Il fenomeno NEET è certamente uno di questi fenomeni circolari: la crisi economica ha generato un aumento della disoccupazione e delle disuguaglianze che hanno colpito principalmente la parte debole della società, le condizioni materiali di vita delle persone sono peggiorate, e con loro è svanita la fiducia nel futuro.

Ma chi è un NEET?

Un NEET è un giovane che ha tra i 15 e i 34 anni che in generale non lavora, non studia e non è impegnato in nessuna attività formativa.

A partire da questa definizione risulta immediato pensare che un NEET sia una persona disinteressata al lavoro e a tutte le dinamiche che lo contornano, ma non è così!

Analizzando a fondo la letteratura a riguardo risulta che un NEET è tante cose: è un laureato che non riesce ad inserirsi nel mondo del lavoro, è uno studente impegnato in formazione non riconosciuta, è una madre indisponibile alla vita attiva perché impegnata in responsabilità familiari e solo infine un NEET risulta, generalizzando, un disinteressato al lavoro.

Nel 2010 l’UE introduce il tasso di NEET allo scopo di “misurare le condizioni delle nuove generazioni”

Cosa è venuto fuori nel 2018 da questo tasso in Italia?

Siamo i primi in Europa per presenza di NEET, con una percentuale sulla popolazione totale del 23,4%.

In particolare, stando alla ripartizione sui dati, questi sono equamente divisi tra donne e uomini e tra chi ha un titolo di studio e chi no, tra questi la metà è delineata come “persona in cerca di prima occupazione”, mentre la restante metà comprende gli “indisponibili” ed i “disimpegnati”, i NEET si concentrano maggiormente nel Sud Italia in particolare in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, dove si raggiunge il 34% di presenze sull’intera popolazione regionale.

UNICEF ha avviato un interessante progetto: NEET Equity, rivolto a 300 tra ragazzi e ragazze tra i 16 e i 22 anni, nella delicata fase di transizione dalla scuola secondaria al mondo del lavoro, allo scopo di migliorare la capacità di risposta dei territori a maggiore presenza NEET.

Il progetto, inaugurato a Maggio 2018, mira alla costituzione di politiche attive partecipate a favore dell’inclusione, atte a valorizzare e rafforzare le potenzialità, spesso inespresse, della maggior parte dei giovani facenti parti di questa categoria.

Coerentemente ai dati NEET Italia, questo progetto viene portato avanti da UNICEF in 3 città: Napoli, Taranto e Carbonia e si sviluppa su 3 livelli: ricerca sociale, Laboratori Urbani di Partecipazione come spazi di ascolto e coinvolgimento giovanile e l’istituzione di Forum come spazi informativi atti alla ricerca di politiche attive nazionali per l’inclusione dei NEET.

In particolare, la ricerca sociale, conclusasi a luglio di quest’anno, è servita a UNICEF per stilare un report dal titolo emblematico: Il silenzio dei NEET, dove, oltre a edificare una panoramica sulla fattispecie, si dedica in gran parte a comprendere meglio chi sono i giovani NEET.

Gli autori di questo Report hanno mescolato tecniche d’indagine consuete (come la raccolta e l’elaborazione di dati, servendosi maggiormente del database ISTAT) con tecniche d’indagine meno specifiche; tra queste l’intervista è riuscita a dar voce ai diversi attori del caso: insegnanti, referenti, organizzazione sociali e gli stessi NEET con lo scopo di mostrare la realtà da punti di vista contrapposti.

Cosa è emerso da queste interviste?

In primo luogo, sebbene la percentuale dei NEET rispetto alla popolazione regionale per Napoli, Taranto e Carbonia sia all’incirca la stessa, le motivazioni per cui si diventa NEET sono molto diverse da capoluogo a capoluogo.

A Napoli, ad esempio, la causa principale viene riscontrata nella dispersione scolastica data soprattutto dalla situazione socioculturale di provenienza.

Dall’intervista ai ragazzi napoletani è emerso, con grande rammarico, che nessuno di loro considera lo studio come forme di riscatto.

Ciò che risalta, però, è che la dispersione scolastica, a Napoli, è un fenomeno diffuso equamente in tutta l’area geografica, non solo nelle aree più disagiate (Sanità, Ponticelli, Scampia), anzi, è proprio in queste zone che il “sentimento di rivalsa” fa sì che i ragazzi siano più propensi al loro inserimento nel mondo del lavoro legale, piuttosto che nel lavoro nero.

Nel Report viene sottolineato più volte che i giovani NEET di Napoli sono ragazzi con fragilità emotiva, che hanno vissuto esperienze negative e deludenti, nei quali il tempo ha sviluppato un senso di sfiducia, ritiro sociale e disinteresse allarmante, motivo per cui molti spesso si rifugiano nella microcriminalità, e difficilmente partecipano alla vita sociale e politica.

Sono ragazzi che: “non lo so, mi annoio”.

A Carbonia, invece, la situazione viene descritta partendo dal suo assunto storico.

Per gli autori non si può prescindere dall’affermare che Carbonia nasceva per volontà del regime fascista come la città del carbone, era una città progettata in funzione del lavoro nelle miniere. Fatto sta che nel 1971 le miniere vennero chiuse, lasciando così un vuoto occupazionale e una città tutta da reinventare.

Si può affermare, in questo caso, che la causa principale di alta presenza di NEET provenga da una forte disoccupazione regionale che col tempo è divenuta portatrice di sentimenti di scoraggiamento nei giovani.

A Carbonia quello che si è verificato è il ben noto fenomeno della fuga dei cervelli; molti ragazzi, infatti, hanno lasciato il Paese in cerca di porti sicuri, lasciando nel capoluogo sardo uno spopolamento giovanile che ha favorito un impoverimento culturale e un altrettanto isolamento sociale.

I ragazzi di Carbonia sono svogliati, tristi, disillusi, senza interesse nel futuro, inoltre sono repulsivi verso il sociale, verso tutto ciò che è proposto dalla collettività sia come istituzione che come realtà associate.

A Taranto, ultimo paese analizzato nella ricerca sociale, rispetto a Napoli e Carbonia, i ragazzi NEET si dividono esattamente tra chi è alla ricerca di un’occupazione e chi non cerca lavoro a causa di forze maggiori.

Così come Carbonia, Taranto nasce come una delle più grandi colonie della Magna Grecia, vede negli anni Sessanta la nascita del quarto polo siderurgico in Italia, l’Italsider divenuta poi Ilva, il maggiore polo occupazione del sud Italia.

L’Ilva, però, ha in sé una situazione ambivalente: se da un lato è il maggiore polo occupazionale, dall’altro è quello che più fa parlare di sé a causa della situazione ambientale e di salute in cui il territorio e i suoi dipendenti versano.

E’ possibile che sia questo il motivo per cui i giovani non hanno fiducia nel territorio regionale?

Da Taranto, infatti, i giovani sono fortemente scoraggiati non solo verso la sfera lavorativa, ma anche e soprattutto verso la formazione accademica che potrebbero avere in Puglia, per questo moltissimi sono i giovani pugliesi che lasciano la loro terra sia per lavorare che per studiare.

Quanto appena affermato emerge dalle stesse interviste, le quali mettono l’accento su una realtà che reputa inconveniente la situazione didattico-lavorativa regionale, ma positivamente quella nazionale.

“Cos’è l’incertezza? E’ la sensazione di non poter prevedere come andranno le cose quando all’indomani ci alziamo dal letto” è così gli stessi autori rispondono ai risultati del lavoro svolto, è la sensazione che prova un giovane quando si scontra con la realtà, è la vita-liquida di cui parla Baumann: quando siamo sul punto di modellarci alla situazione, ma questa ha già mutato di forma, rendendo l’uomo incapace di affrontare le sfide moderne ed inevitabilmente per la società si è winner o loser.

Gli autori del report “Il silenzio dei NEET”, concludendo, provano ad immaginare possibili scenari nuovi, dove “fare rete” si profila come una strategia vincente.

Fare rete per UNICEF è proteggere e potenziare le capacità di ascolto dei NEET, partendo dalle scuole pubbliche, per individuare nel minor tempo possibile disagi e difficoltà di bambini e ragazzi e proporre loro occasioni di emancipazione, favorire la sperimentazione di forme di inclusione e didattiche nuove attente ai più fragili in grado di far crescere passioni e talenti, promuovere processi di scuola aperta e partecipata e di educazione diffusa allo scopo di rafforzare la capacità di mutuo-sostegno di associazioni e di genitori, utilizzare cortili, aule, teatri, palestre negli orari extrascolastici inventando nuove forme di apprendimento in luoghi non abituali.

In poche parole: rendere i giovani protagonisti delle loro scelte dando spazio alle loro voci e alle loro potenzialità.

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