Ai tempi del Corona Virus: possibili scenari nel mondo del lavoro

“Ai tempi del corona virus”, è forse una delle espressioni più inflazionate in questo ultimo periodo, come “andrà tutto bene” o “restiamo a casa”; sui social, in Tv, nei pochi negozi ancora aperti, ormai non si sente altro che “famiglia ai tempi del corona virus”, “amore ai tempi del corona virus” “cucina ai tempi del corona virus” “lavoro ai tempi del corona virus”.

Proprio quest’ultima è la frase che maggiormente preoccupa gli italiani. Soprattutto oggi in cui impazza il dibattito sulle categorie di lavoratori maggiormente esposte al rischio di contagio, che lottano in prima fila per combattere, o almeno contenere, l’emergenza.

Lavoro prima del Covid-19

Tra chi lavora da casa, chi non può e ne approfitta per godersi la famiglia e chi, al contrario, può ancora svolgere la propria attività anche in situazioni precarie, il pensiero di tutti è rivolto al dopo. Alle conseguenze di questa inimmaginabile crisi.

Sicuramente un simile scenario era quantomeno impensabile a gennaio e febbraio, quando l’Istat pubblicava i comunicati stampa circa i dati su occupazione e disoccupazione, i quali facevano ben sperare per un 2020 positivo sul fronte lavorativo. Occupazione stabile, trainata da donne, giovani e contratti a termine, e disoccupazione in calo (-0,1%) rispetto al trimestre precedente.

Inoltre, rispetto al febbraio dello scorso anno, rilevava il dato sul miglioramento del lavoro dipendente rispetto all’autonomo, infatti, l’occupazione era sostanzialmente stabile per effetto dell’aumento tra i dipendenti (+120mila) e la diminuzione tra gli autonomi (-126mila). Si registrava un aumento degli occupati tra i giovani di 15-24 anni e tra gli over50, mentre diminuivano tra i 35-49enni per effetto del loro decrescente peso demografico.

Lavoro ai tempi del Covid-19

Oggi, a distanza di appena un mese, l’istantanea scattata dall’istituto di statistica nazionale, non riflette più la reale situazione del Paese, attraversato e stravolto da un’emergenza tanto grave quanto inaspettata.

Il nostro paese si è attrezzato per fronteggiare la crisi attraverso diversi strumenti, come il Decreto Legge: #CuraItalia del 17 marzo 2020. Recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19″.

Essa ha assunto proporzioni epiche tanto da portare Guy Ryder, Direttore Generale dell’ILO(organizzazione internazionale del lavoro), a dichiarare che non era più soltanto sanitaria, “ma anche una grave crisi economica e del mercato del lavoro con un enorme impatto sulle persone”.

ILO E IL COVID-19

Un rapporto dell’ILO-“COVID-19 and the world of work: Impacts and responses”, proponendo dati e proiezioni statistiche, evidenzia il vasto impatto che COVID-19 avrà sul mercato del lavoro, stimando una significativa crescita di disoccupazione e sotto occupazione.

Il calo dell’attività economica e le costrizioni ai movimenti delle persone si riflette sui settori manifatturiero e dei servizi, causando inoltre importanti riduzioni del reddito dei lavoratori e accentuandone la povertà.  Sulla base di possibili scenari dell’impatto del COVID-19 sulla crescita del Prodotto Interno Lordo globale, le stime dell’OIL indicano un aumento della disoccupazione globale tra 5,3 milioni (scenario a basso impatto) e 24,7 milioni (scenario ad impatto medio-alto) che si sommerebbe ai 188 milioni di disoccupati del 2019.

In confronto, la crisi finanziaria globale del 2008-2009 aveva portato all’incremento della disoccupazione globale di 22 milioni. Anche la sottoccupazione dovrebbe aumentare su larga scala, poiché le conseguenze economiche della pandemia si traducono nella riduzione delle ore di lavoro e dei salari.

Il lavoro autonomo nei Paesi in via di sviluppo, che spesso serve ad attenuare l’impatto del cambiamento, potrebbe subire un contraccolpo a causa delle restrizioni alla circolazione delle persone (ad esempio fornitori di servizi) e delle merci.

L’ILO mette in guardia anche da un possibile e molto probabile incremento delle disuguaglianze sociali, che andrebbe maggiormente a sfavore delle fasce più deboli, in particolare donne, immigrati e giovani. Il calo dell’occupazione causa grandi perdite di reddito per i lavoratori.

Lo studio stima queste perdite in una cifra che varia tra l’equivalente di circa 860 e 3.400 miliardi di dollari americani entro la fine del 2020. Ciò si tradurrà in una riduzione dei consumi di beni e servizi che impatterà sull’economia sia in termini di quantità che di qualità del lavoro su scala globale. Il reddito da lavoro complessivo che andrà perso si stima tra gli 860 e 3440 miliardi di dollari.

Le stime portano a prevedere che le persone già in difficoltà economica e sulla soglia di povertà prima dell’epidemia COVID-19, vedranno ulteriormente calare le proprie entrate. Il processo riguarderà 8.8 milioni di persone nel migliore degli scenari, e 35 milioni di persone nel peggiore dei casi.

Stando alle stime, i settori maggiormente colpiti sarebbero quello alberghiero che registrerebbe una perdita di fatturato del 73%, le agenzie di viaggio e tour operator – 68%, trasporti aerei – 50%. A questo elenco vanno aggiunti i settori che subiranno un calo produttivo a causa del crollo dei consumi quali la manifattura – 45.8%, e il settore dell’automobile.

Smart working

Un altro punto di vista interessante da cui guardare la questione è quello relativo allo smart working e alla mutata ratio del suo impiego. Lo scenario globale ci mostra come la pandemia da COVID-19 stia impattando su un mondo del lavoro fortemente digitalizzato, i cui modelli di organizzazione sono già da tempo in evoluzione.

Il lavoro agile, in effetti, da strumento innovativo di welfare aziendale per l’incremento della produttività ed il migliore bilanciamento tra vita personale e vita lavorativa, è stato convertito in un incredibile strumento per il migliore bilanciamento tra salute pubblica, sicurezza sul lavoro e conservazione del posto di lavoro.

Alla luce di ciò, molti ritengono che l’uso dello smart work una grande opportunità, non soltanto di gestione dell’emergenza, ma anche di ripensamento serio delle modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato anche per il futuro.

La crisi come vantaggio

Non tutto è perduto quindi, se si guarda all’etimologia greca della parola crisi, essa implica una scelta, un cambiamento necessario che non per forza deve andare nella direzione di un peggioramento dello status quo, ma, al contrario, potrebbe portare in tutt’altra direzione.

 Dunque, perché non sfruttare la crisi a nostro vantaggio?

Questo scenario che molti hanno definito apocalittico, potrebbe portare allo sviluppo di nuove imprenditorialità e a nuove forme di specializzazione produttiva a livello globale.

L’Italia potrebbe trovare la forza per rilanciare il Made in Italy, da troppo tempo ormai in sofferenza, coadiuvando i settori tradizionali, come quello manifatturiero, con segmenti innovativi e all’avanguardia, tutti orientati a promuovere l’eccellenza italiana, non solo nel mondo, ma soprattutto all’interno del Paese.

La sensazione diffusa, infatti, è quella che gli sforzi di imprenditori, ricercatori, governi, siano state sempre orientate verso l’esterno, lasciando indietro le forze autoctone che da sole faticavano ad emergere. La difficile situazione attuale ci insegna invece a partire dagli italiani, a rialzarci con le nostre forze e a dimostrare a noi stessi, prima che al mondo intero, di cosa siamo capaci.

Le energie sprigionate durante queste settimane angoscianti, come iniziative di solidarietà e flash mob dai balconi, devono rappresentare un monito per il presente e per il futuro e spingerci a credere che supereremo anche l’imminente crisi economica.

Gli sforzi dei cittadini dovranno però essere affiancati dalla presenza dello Stato, non solo attraverso il varo di misure speciali e il finanziamento di opere e lavori pubblici, ma anche attraverso una più attenta ed intensa gestione del Paese, in tutti i suoi aspetti.